lunedì 27 luglio 2009

Franca Rame: io la trovavo bellissima. Irragiungibile. Credo che gran parte delle motivazioni della brutale violenza che dovette subire non furono politiche. Fu la sua aura di austera , algida intelligenza che non si piegava a sotterfugi da chierici. Il suo modo di proporre atroci verità senza appello. La sua ferrea volontà di riaffermare identità e diritti delle donne in una società opulenta dominato dall' ipocrisia democristiana. Non sono mai stato del tutto convinto della appartenenza alla Destra dei suoi violentatori. E poi quale Destra? Ho sempre immaginato quello di Franca Rame uno "stupro di Stato" come "delitto di Stato" fu quello di Aldo Moro. Parlammo di Franca Rame. Le ragazze del nostro gruppo politico, si sa che le donne inorridiscono nei confronti dello stupro mentre gli uomini hanno reazioni più circospette, proposero subito un assemblea all'Università e un volantino. Facemmo tutte e due, con grande successo. Io suggerii di mandare il volantino a Franca, con una lettera in cui le dichiarammo al nostra solidarietà. Non rispose . Ci rimanemmo tutti male, ed io per molti anni mi chiesi se l'avesse mai letto. La rividi , da senatrice. Aveva l'aria di una saggia ma battagliera signora, un pochino sbadata. poi lessi la sua lettera di dimissioni dal senato. Mi colpì una frase: "A volte mi capita di pensare che una vena di follia serpeggi in quest’ambiente ovattato e impregnato di potere, di scontri e trame di dominio. L’agenda dei leader politici è dettata dalla sete spasmodica di visibilità, conquistata gareggiando in polemiche esasperate e strumentali, risse furibonde, sia in Parlamento che in televisione e su i media. E spesso lo spettacolo a cui si assiste non “onora” gli “Onorevoli”. Ricordo che in quel volantino di tanti anni fa scrivemmo: "L'onore e la dignità delle donne non si compra al mercato". Ne sono, naturalmente, ancora convinto.

venerdì 24 luglio 2009

"Scuola occupata". Era un cartello di intenti politici affisso con l'adesivo davanti al portone. Spessissimo , noi dell'Università, partecipavamo alle occupazioni dei licei cittadini. Una sorta di tutoraggio al quale ci sottoponevamo volentieri. L'occupazione del liceo Vico fu particolarmente movimentata. Iniziammo in una cinquantina in una gelida mattinata di novembre. Nella prima serata già una ventina erano stati trascinati a forza dai genitori a casa. Il giorno dopo un'altra decina si fecero convincere da un funzionario della Digos che gridava frasi a metà tra il minaccioso e il burocratico. Il quarto giorno, una mezza dozzina abbandonarono per stanchezza l'impresa . Il quinto giorno tre operai dell'Italsider vennero a stare con noi. Il sesto giorno, il preside si beccò una sedia addosso proveniente dal secondo piano e fu portato via in autoambulanza. L'episodio fece accorrere fotografi, giornalisti e due furgoni di celerini che stazionariono a venti metri dal portone. Tutti noi convenimmo che la cosa si faceva interessante e stilammo un documento politico, cofirmato dagli operai dell'Italsider, da diffondere all'esterno, prontamente raccolto da un cronista. All'indomani il Mattino ci denominava "rivoltosi". E insieme all'articolo arrivò perentorio l'ordine di sgombero al megafono. Facemmo uscire le tre ragazze e io e pagliuchella preparammo un po' di "armi di difesa" che risultavano inefficienti giacché la scuola fu "liberata" in poche ore. Tre di noi fecero un passaggio in ospedale, tutti in questura. Il fatto di essere diventato uno "schedato" mi lasciò un misto di orgoglio e di paura.

giovedì 23 luglio 2009

Ho sempre pensato che gli "anni di piombo" dovessero essere chiamati così perchè furono "cupi", pesanti, densi e non solo per le stragi e le rivolte di piazza. Credo che nessun giovane allora potesse essere del tutto spensierato.
Anche il meno impegnato in politica, il meno istruito , addirittura il meno intelligente portava una malinconia segreta che, spesso, non sapeva esprimere. Ci sentivamo tutti in qualche modo "incompresi" dagli adulti, dai genitori che sfidavamo ogni giorno in mille modi diversi. Quando una ragazza mi diceva con gli occhi colmi di sfida e di piacere: "dovesse vedermi mio padre adesso", mi sembrava di aver reso un servizio alla causa dell'emancipazione femminile e non solo alle mie voglie. D'altra parte, forse non a caso, la pillola anticoncezionale cominciò ad essere venduta proprio in quegli anni insieme ai pantaloni a zampa di elefante . Quesi pantaloni larghi giù e aderenti su cosce e fianchi, non lasciavano dubbi sulle ragazze da corteggiare subito. Ricordo le lunghe collane e i bracciali di metallo, le maglie coloratissime e con disegni che diventavano intellegibili solo dopo aver fumato di brutto (un fenomeno inverso che non mi sono mai spiegato del tutto). Io che sono sempre stato uno che ha fatto sorridere (spesso anche ridere) le mie interlocutrici, avevo un successo strepitoso con quelle ragazze tristi e dal sorriso corrucciato ma con gli occhi grandi e dolcissimi. Allora, mi capitava di divertirmi insieme alle mie ex (che intanto erano innamorate dei miei migliori amici) con la fidanzata del momento. Mi pareva, allora, che il cameratismo e gli ideli comuni facessero da anestetico alle gelosie e che la libertà sessuale di quegli anni derivasse da questo semplice concetto.
Io che vivevo in una famiglia che se avesse voluto avrebbe potuto comprarmi il ristorante sotto casa, mangiavo alla mensa universitaria e mi sarebbe piaciuto essere uno squattrinato fuori sede. Quando in sezione seppero del lavoro di mia padre, qualcuno cominciò a guardarmi con sospetto che sparì solo dopo un paio di mie azioni che non lasciavano spazi a dubbi. Compresa quella di dare in prestito la mia macchina a Paglichella quando me la chiedeva, un atto che era considerato nel nostro giro assai temerario. Il sabato sera (che veniva dopo una settimana di intenso attivismo poltico) era uguale per tutti. Il mio amico Vittorio, oggi segretario comunale in una città del nord, era poverissimo. Ultimo di sette fratelli, il padre fabbro con una bottega che somigliava all'antro di un inferno per diseredati. Ricordo che Vittorio era sempre a divertirsi con noi e che la "colletta per Vittorio" era quasi automatica ogni sabato, prima ancora che lui arrivasse all'appuntamento in piazza.
Non riesco a capacitarmi come tanto sfrenato individualismo tenga in ostaggio i giovani d'oggi.

mercoledì 22 luglio 2009


La nostra sezione era un sottoscala senza luce. Di fianco ad una fabbrica di scarpe dove, come oggi, lavoravano donne e ragazzini. La nsotra prima azione politica fu quella di tentare di affrancare dal lavoro nero le nostre vicine. Il padrone di casa , accompagnato da due loschi figuri, ci invitò a fare politica più in là e non ci fu bisogno di una riunione del direttivo di sezione per accettare la proposta. Una settimana dopo, alle tre di notte, la fabbrica di scarpe andò a fuoco, la benzina fu versata attraverso una grata in comune con la nostra sezione. I collanti abusivamente tenuti allo scoperto fecero un falò di proporzioni epiche. Cambiammo indirizzo. Il sospetto della polizia e dei proprietari della fabbrichetta (che temevamo molto di più dei poliziotti) fu quello che un paio di noi avessero commesso il fatto. Allora i manifesti si stampavano su fogli bianchi che portavano il simbolo in alto già impresso. Ci arrivavano da Roma ed era l'unica cosa che non pagavamo di tasca nostra. Io ero quello che li scriveva, ma il fatto di concepire ardui concetti politici non mi esimeva dall'attacchinaggio che, in realtà, vivevo come un'avventura notturna. Ero anche grosso e abbastanza coraggioso e inaugurai l'uso di portare una mazza di ombrellone da mare segata in due come arma di difesa. I cortei rappresentavano l'acme di una lunga preparazione tattica. Quando ci snodavamo come un verme lunghissimo attraverso il Corso Umberto, con due gruppi di celerini in apertura e chiusura e i più cattivi di loro tra noi, marciamo con la voglia di cambiare il mondo. Allora i poliziotti e i carabinieri non avevano gli scudi di plexiglas, gli elmetti tecnologici e e i fucili con proiettili di gomma. Forse per quel loro aspetto "primitivo" sembravano più catttivi di oggi. Un giorno il commissario S. L. mi disse: "Uno di questi giorni la paghi per tutti". Ma io mi sentivo invincibile e neanche gli risposi. Il mio miglior amico e attivista della sezione era un disoccupato di lungo corso che si arrangiava con lavoretti saltuari dei quaili molti illegali. Lo chiamavamo Pagliuchella, perchè era piccolo e leggero come un filo di paglia. Ma era il più veloce e coraggioso di tutti. Donne ce n'erano pochisssime. A quel tempo fare politica attiva e per di più con noi bollava una ragazza come una puttanella. Di solito erano figlie o sorelle di altri come noi. Oggi penso che se avessimo avuto internet, avremmo cambiato davvero il mondo. Ma ogni manifesto rappresentava una colletta e chi si fermava a leggerli? Vorrei rivedere Pagliuchella e ubriacarmi con lui. Spero sia vivo e che corra veloce come allora.
Avevo vent'anni. Mi occupavo di politica, in un mondo dove i giovani scrivevano l'agenda dei cambiamenti epocali. Un giorno fui invitato a casa di un senatore che aveva letto alcuni miei articoli sulla gazzetta dell'Università ed era amico del mio professore di Fisiologia. Il senatore d'Albora abitava nella stada più bella di Napoli. Sul suo terrazzo arrivava lo scintillio di un mare cobalto e lucente. Una domestica con un lindo grembiulino mi fece sedere davanti ad un tavolo dove erano disposte a cerchio bibite fresche e succose. Il senatore entrò senza che lo sentissi. Una veste da camera e un passo leggero come quello di un aristocratico gatto. Si sedette avanti a me e mi disse: "Allora, lei desidera fare politica. Perchè?". Parlai per una buona mezz'ora. Poi il senatore si alzò, e prese dallo scrittoio un libro sottile. Mi scrisse una dedica che lessi due giorni dopo per l'emozione. "Le auguro di rimanere sempre come oggi", e mi congedò . Io non faccio paragoni con i politici di oggi. Nè raffronto epoche inconciliabili. Ma una prostituta in quel salotto credo non c'entrò mai.